I santi non finiscono di ispirare. Fa sempre impressione l’audacia con cui san Paolo della Croce fondatore dei passionisti, la famiglia religiosa di san Gabriele dell’Addolorata, affronta le difficoltà per realizzare il suo progetto nella Chiesa. Nato il 3 gennaio 1694, attraversa i tre quarti del secolo seguente, lasciando questo mondo il 18 ottobre 1775. A quel tempo i problemi locali non sono globali, e viceversa, ma egli se li sente addosso come se fossero suoi, specialmente quelli di una vita cristiana che gli sembra insignificante. Lo osserva sia nel clero che nei semplici battezzati del suo paese natale, Ovada in provincia di Alessandria, e nei luoghi in cui soggiorna seguendo l’attività del padre che gestisce un’azienda di tessuti, cordame e affini anche ambulante, a Cremolino, Campo Ligure, Tagliolo, Tortona, con soste a Genova, Parma, Ferrara, Crema e finalmente a Castellazzo Bormida.
Frequenta le scuole del tempo, ma soprattutto si forma una solida cultura teologica nella biblioteca di uno zio prete. A ventun anni, colpito da una predica sentita in chiesa, decide di impegnarsi in una seria pratica della fede. Rinuncia alla prospettiva di una buona eredità, con matrimonio incluso, e sceglie di giocarsi la vita in una crociata che la repubblica di Venezia sta convocando per far fronte alla guerra che i turchi hanno dichiarato per la riconquista della Morea, odierno Peloponneso. Il papa Clemente XI invita i cattolici a partecipare, perché è l’ennesima minaccia dell’Islam alla cristianità.
Ma un’altra ispirazione lo ferma alla vigilia dell’arruolamento. Mentre è raccolto in adorazione, gli trafigge l’anima una nuova comprensione dell’amore di Dio e dell’urgenza di farlo conoscere al mondo. Capisce che nel suo caso non basta fare il buon cristiano per conto suo. Deve fare qualcosa per aiutare fratelli e sorelle ad essere buoni cristiani. Il cristianesimo ristagna perché la gente, compresi i battezzati e tanti preti, non si rendono conto dell’amore di Dio per l’umanità e per ogni persona, rivelato in Cristo suo Figlio fatto uomo come noi, maestro di verità, morto in croce per noi. Non se lo ricorda nessuno. Non lo si sente predicare nelle chiese. Ci riflette, si consiglia, ha capito, ci si butta a capofitto. Col permesso dei parroci si mette a insegnare catechismo nelle chiese di Castellazzo. Decide che radunerà compagni, li appassionerà del progetto di predicare l’amore del Crocifisso. In pochi giorni di ritiro scrive già una regola per la futura squadra d’attacco. I sogni crescono, volano, esagerano, ma senza sogni non si parte nemmeno.
Che una persona normale resti folgorata da un’idea come questa non è una cosa normale. Ci deve stare di mezzo lo Spirito Santo. Una freccia scoccata da ben altro Amore. Si chiama carisma, un dono speciale per te e per quanti ti seguiranno.
Vestito da eremita, fornito di un vago lasciapassare del suo vescovo, scende dal Piemonte e svolgerà la sua attività specialmente nello Stato Pontificio, con puntate nel Regno di Napoli e delle Due Sicilie. Al tentativo di incontrare il Papa per chiedere l’approvazione della regola che aveva preparato è respinto in malo modo come sospetto accattone. Invece di scoraggiarsi, entra nella basilica di Santa Maria Maggiore e si lega a Dio col voto di spendere la vita per la Passione di Gesù, meditarla e predicarla con tutte le forze. Marchio a fuoco che lo brucerà per tutta la vita, essenza della nuova comunità già nata nel suo cuore, di cui si sente capofila, primo passionista.
La regola sarà approvata, anche se ci vorranno cinquant’anni di trattative e di sfibranti attese prima della convalida finale, da quella a voce di Benedetto XIII nel 1725, a quella solenne e definitiva di Pio VI nel 1775, dopo lotte interminabili con revisori e commissari che ad ogni costo vogliono addolcirne il contenuto.
La comunità sognata nascerà, anche se ci vorrà una quindicina d’anni per amalgamare un primo nucleo di candidati robusti, e per decidere la dimora fissa sul Monte Argentario, dopo aver zigzagato per mezza Italia: Castellazzo, Gaeta, Troia, di nuovo Gaeta, Madonna della Civita, San Gallicano di Roma. L’unico a sostenerlo sin dall’inizio senza deluderlo mai è il fratello Giambattista. Ma poi, dalla professione dei primi sei nel 1741, all’anno della sua morte, lascia una comunità di oltre duecento religiosi, da lui unificati e infuocati dalla passione per la Passione di Cristo.
Sorveglia di persona il sorgere dei primi dodici conventi più quello per le monache. Due sul Monte Argentario, poi Vetralla, Sant’Eutizio, Ceccano, Tuscania, Falvaterra, Terracina, Paliano, Rocca di Papa eccetera, più Tarquinia per le sorelle che chiama le colombe del Crocifisso. Anche per questo lavoro incontra intralci e dilazioni da parte di autorità ecclesiastiche e civili fino all’ingiunzione di demolizione, da parte di falsi candidati e concorrenti fondatori.
In tutte queste vicissitudini, la Passione di Gesù è l’energia che lo sostiene, il fuoco che gli brucia dentro e che riscalda chiunque lo accosti. Per lui è l’amore sopra ogni amore, la più grande e stupenda opera dell’amore di Dio, il dicibile e l’ineffabile del progetto di Dio per la gioia e la realizzazione dell’essere umano, la sua salvezza. Ci pensa e la medita ogni giorno, fino a immersioni mistiche che lo rendono uno dei maggiori maestri di spiritualità del suo secolo. La predica con tutte le forze e in tutte le occasioni, specialmente nelle forme caratteristiche stabilite nella sua regola, missioni popolari e esercizi spirituali.
È stato possibile rintracciarne cronologicamente circa duecentocinquanta da lui tenute, da Roma e Civitavecchia fino a paesi e frazioni oggi scomparse dalla carta geografica. All’Isola d’Elba, a Camerino, Isola di Castro, in quasi tutti i paesi delle diocesi della Maremma Toscana e molti delle diocesi di Viterbo, Civita Castellana, Sutri e Nepi, Siena, Rieti e Perugia. Come pure in tutti i luoghi dove sorgono e suoi conventi, che lui chiama ritiri.
Quando parla del Crocifisso è capace di scuotere le coscienze e di toccare i cuori. Molte volte, nelle chiese o nelle piazze, le folle esplodono in sospiri e lacrime quando descrive l’infinito amore gridato dal dolore del Crocifisso. Fioccano miracoli, soprattutto quelli spirituali di conversioni, pacificazioni sociali, relazioni fraterne ricostruite.
Lo stile di vita penitenziale, gli impegni di fondatore e di missionario, senza scordare le misteriose prove mistiche in cui mette le mani anche il diavolo, gradualmente fanno emergere segni di fragilità nel suo fisico. A partire dai trent’anni soffre di febbri malariche, dai quaranta si aggiungono sciatalgie permanenti, a cinquanta insorgono problemi di cuore, e da lì in poi camminerà in compagnia del suo bastone, ogni tanto lo abbattono cadute tragiche nei viaggi a cavallo o in calesse.
A 81 anni, nove mesi e quindici giorni prende il volo verso il suo amore Crocifisso, che incontrerà Risorto, vivente non solo nei cieli ma anche nella storia, dove egli ha acceso per la Chiesa una nuova fiamma della sua presenza, la famiglia passionista.