Quando si ha a che fare una con malattia incurabile, difficilmente se ne parla direttamente con il malato. Probabilmente si cerca di indorargli la pillola perché risulti più accetta. Di certo si prega con e per il malato nella speranza di strappare a Dio un miracolo. Non è quello che accade normalmente?
Anche Gabriele dell’Addolorata ha avuto una malattia incurabile, almeno per il suo tempo: la tubercolosi polmonare. Un male orribile che portava ad accompagnare i colpi di tosse con copiose perdite di sangue. Un male che, nello stesso secolo, tanti santi ha ricondotto alla casa del Padre.
Padre Norberto racconta che Gabriele dell’Addolorata ha sempre desiderato morire piuttosto che offendere Dio. Non quindi per disprezzo della vita, né per il timore della sofferenza che una malattia avrebbe potuto procurargli.
A raccontarlo è padre Norberto che, durante i processi canonici, non fa che esaltare l’obbedienza del suo giovane religioso ai consigli del padre spirituale: non faceva nulla se non dopo averlo consultato!
Così, padre Norberto racconta che, nell’ultimo periodo della sua vita, Gabriele gli chiedeva sempre più spesso: “Mi lasci dimandare una buona e santa morte, ché i pericoli di disgustar Dio son tanti dalla parte del demonio, delle passioni, eccetera”. Il buon direttore, però, anche mosso dal timore che le sue preghiere fossero esaudite, gli raccomanda: “No, così in modo assoluto, no: dimandi piuttosto la grazia della sanità, se di maggior gloria di Dio e salute e vantaggio dell’anima sua, altrimenti che le accordi una buona e santa morte”.
Nessuno meglio di lui poteva comprendere la sensibilità e la forte propensione alla santità del giovane religioso che “in tutti gli anni precedenti faceva rapidi progressi verso la santità” ma nell’ultimo addirittura “volava”.
E quando anche la tosse si colorò di rosso, svelando in modo inequivocabile la diagnosi e la condanna, invece che farsene cruccio, Gabriele si rallegrò “vedendo giungere il termine da lui tanto sospirato… Non solo: fu il primo a parlarne come di cosa certa!”.
Non lo preoccupava morire, ma piuttosto si rammaricava di dover continuare ad affrontare i pericoli e le tentazioni del mondo, di essere “d’incomodo” ai confratelli, e soprattutto di ritardare il suo incontro con Dio e con Maria santissima, la “Mamma mia” tanto amata.
Da quel momento, i confratelli e lo stesso padre Norberto, iniziarono a rivolgere al giovane Gabriele dell’Addolorata tutti una medesima supplica: “quando giungerai lassù ricordati di preparare un posto anche per me… Chi va primo deve avere una briga in più per chi viene dopo…”.
Quanti pellegrini e devoti al santuario accorrono ogni anno. Ciascuno presenta al giovane Gabriele la sua supplica, la sua richiesta di aiuto, talvolta di grazia o di miracolo. San Gabriele risponde loro al modo in cui rispose ai suoi confratelli d’allora, “sorridendo graziosamente” diceva: “Spero nella misericordia di Dio, e nell’intercessione della Mamma mia”.