di Han Kang, Traduzione di Lia Iovenitti,
Adelphi – pp. 265, euro 20,00
Non dico addio si apre col racconto di un sogno che accompagna da un po’ le notti di Gyeong-ha: una neve rada cade su migliaia di tronchi neri, mentre il mare li avvolge da dietro e li trascina a sé nel buio. Subito dopo arriva una chiamata dall’ospedale: la sua amica e collega In-seon ha avuto un incidente sul lavoro, chiede di raggiungerla alla svelta. Da questo momento in poi il romanzo prende strade diverse, intrecciate a tal punto da non distinguere più la fantasia dalla realtà, la vita dalla morte, il dolore del corpo da quello del ricordo. Accanto alla storia delle due donne se ne aggiunge una terza: quella della madre di In-seon, che riporta una testimonianza del massacro avvenuto sull’isola di Jeju nel 1948. A tenere insieme tutto, oltre alla scrittura lirica e simbolica della neo-vincitrice del premio Nobel, è il freddo. La neve cade lenta e incessante su ogni cosa, con un ritmo descritto così bene da entrare sottopelle. Chi abita in montagna lo sa bene: la neve porta silenzio. L’unico modo per raccontare una storia, in mezzo alla bufera, è evitare di farsi ricoprire.