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Mordi il Serpentone…

PARLIAMO DEL TRADIZIONALE E APPREZZATO DOLCE NATALIZIO DI FARA FILIORUM PETRI, IN PROVINCIA DI CHIETI, CHE HA LA FORMA DI UN RETTILE. NE ESISTONO DUE VERSIONI: UNA DALLA SUPERFICIE CHIARA, RICOPERTA CON UNA GLASSA DI ALBUME E ZUCCHERO, L’ALTRA PIÙ SCURA, CON IL CIOCCOLATO.

Essere morsi da un serpente è una brutta esperienza, al contrario addentare il serpentone di Fara Filiorum Petri provoca, se masticato lentamente, una sensazione di piacere allo stato puro. Talmente buono che genera “dipendenza”, per questo conviene mangiarne con moderazione anche perché ipercalorico.

Un tempo, questo dolce tradizionale, veniva preparato in occasione della macellazione del maiale perché, allora, tra gli ingredienti figurava il sanguinaccio. Ai giorni nostri dalla ricetta è stato eliminato il sangue di maiale ma è ancora la principale specialità dolciaria legate alla festa di sant’Antonio Abate che ricorre il 17 gennaio.

Due le versioni. Una con superficie chiara, ottenuta con la glassa di albume e zucchero, l’altra scura con cioccolato, rimane però identica la farcitura. Per l’involucro di pasta frolla si utilizzano uova, farina, olio extravergine di oliva, vino bianco e zucchero, mentre l’impasto della farcitura è composta da marmellata d’uva (in sostituzione del sanguinaccio), cioccolato, noci, mandorle, mosto cotto, buccia di agrumi e aromi naturali. Sulla sfoglia si pone uno strato di ripieno e si arrotola a forma di serpente e si procede alla cottura in forno. Tagliato a fette lu serpendone di sant’Antonio si presenta profumato alle narici e morbido al palato, rimanendo fragrante per alcuni giorni.

Festa delle Farchie in onore di S. Antonio, Ab. Il 16 gennaio a Fara Filiorum Petri (CH).

Fara Filiorum Petri, borgo della Val di Foro in provincia di Chieti, è conosciuto non solo per la leccornia di cui sopra ma per le farchie, torce giganti, accese in onore di san Antonio Abate, onorato dappertutto nelle campagne per il suo patronato sugli animali domestici, ma i faresi, in particolare, hanno un debito con il fondatore del monachesimo risalente al 1799, quando “vestito da generale” li ha difesi scompaginando le truppe napoleoniche dando fuoco agli alberi di un limitrofo querceto. Si fa memoria del prodigioso avvenimento incendiando, all’imbrunire del 16 sul piazzale della chiesa intitolata al santo egiziano, enormi fasci di canne (2 mila) dal diametro di un metro, alte 10 metri e pesanti 7 quintali, tenute unite da rami di salice rosso, ogni contrada ne realizza una. Un rito, la cui preparazione è lunga (raccolta delle canne in primavera e potatura dei salici in dicembre) e impegnativa (costruzione e l’innalzamento della farchia), mantiene alti coesione sociale e orgoglio comunitario. Lo spettacolo, fatto di grida e di luce abbagliante che rischiara le sopraggiunte tenebre, è straordinario e indimenticabile anche per via del “terzo tempo”, la conviviale tra abitanti e visitatori chiamati a deliziarsi con lu sant’Andone, tipico vassoio colmo di sfiziosi dolci locali, caggionetti, tarallucci, mostaccioli e il gustosissimo e rinvigorente serpentone, annaffiati dal tonificante e riscaldante vin brulè.

 

Le farchie arderanno l’intera notte, all’alba, le braci assieme al “Pane di Sant’Antonio” verranno benedetti e s’intoneranno canti e litanie in onore del patrono. Questa zona dell’Abruzzo è non solo apprezzata dagli amanti del folklore ma anche dai buongustai per la presenza di un prodotto orticolo di alto pregio, sia consumato fresco che cotto, dalla forma inconsueta infatti la cipolla bianca di Fara Filiorum Petri è anche detta “piattona”. Vanto e risorsa economica di un tempo, poi caduta nell’oblio è oggi giustamente rivalutata (Presidio Slow Food) per le sue peculiari caratteristiche organolettiche proprie della varietà che vengono esaltate dal terreno argilloso presente. A lei, versatile e dal sapore dolce e aromatico, è dedicata una sagra in agosto. Ottima in insalata, cotta sulla brace o sotto il coppo, sbigottisce il palato per morbidezza e dolcezza, quale principessa nella cipollata (cipolle appena colte e cotte a lungo in tegame di coccio).

La terra d’Abruzzo stupisce per bellezza della natura e delle tradizioni da lasciare a bocca aperta e poi la riempie di sapore.