Lettere

Lettera 14

I.X.P.
Car.mo Fratello [Michele Possenti]

Morrovalle, 31 dicembre 1857

Non comincerò la lettera con auguri, come in tal circostanza si dovrebbe, ma aprendoti sinceramente il mio cuore come a un fratello si deve. Che ti ho a dire (non vorrei mettere in agitazione il tuo spirito); ma quelle tue parole: “Mi farai una dettagliata descrizione della tua vita, desidero una tal cosa ardentemente”, mi hanno fatto impressione, e non ho cessato da quel momento di raccomandarti in particolare al Signore e a Maria SS.ma, come ancora non cesserò con il loro aiuto di farlo.

Fratello mio! e sarebbe forse vero che anche per te fosse giunta quell’ora felice e beata che spuntò per me assai più di te immeritevole? E perché non credere che Colei, che viene sì giustamente detta “Refugium peccatorum”, non abbia volto verso di noi le sue misericordiose pupille? Io lo spero, e se ciò fosse, non mi rimane altro da dirti: surge et veni (alzati e vieni, Ct 2,13).

Non prendere esempio da me che, chiamato dal Signore, sono andato di giorno in giorno procrastinando, no, ma se una voce ti chiamasse, non dubitare un istante, non ne far parola, getta dietro le spalle le scienze, i parenti, ed il mondo, e metti mano all’opera. Non ti lusinghi il demonio con dirti: pensaci prima, no, ma tosto partiti da tutti e segui Gesù. Se io avessi aspettato qualche altro momento forse non mi troverei dove mi trovo.

Ricorri a Maria, e se Lei ti avesse impetrato una tal grazia, ricompensala in qualche modo col fare ai suoi piedi un sacrificio di tutto, dicendole, e di ciò non te ne dimenticare: dono tutto a voi scienze, parenti e sostanze e tutto. Mettiti sotto il suo manto e fuggi con Lei.

E se una tale contentezza fosse riservata ad un fratello che ti ama con amore sincero, scrivimi tosto perché io stesso posso incaricarmi di tutto presso questo nostro Provinciale.

Se però io mi fossi ingannato, e non conoscessi, con gli occhi però sempre dello spirito riguardando la cosa, non conoscessi, dico, in te una tale chiamata, fa conto come se ciò io non ti avessi scritto. Questo è ciò che io sento nel cuore, e però spero che sarà da te preso in buona parte.

Passo ora a dettagliarti la mia vita: prima di tutto credo bene premettere che nella nostra religione vi si trova vita comune perfetta, di modo che il suddito non si prende nessun pensiero di sé, né per il vitto, né per il vestito; di tutto è provveduto dal rispettivo superiore, il quale ha lo stesso pensiero che ha un buon padre di famiglia nella propria casa, rispetto ai figli. Di più, i Passionisti non hanno entrate di sorta alcuna, ma vivono di pure elemosine; ti assicuro peraltro che, grazie al cielo, non ci manca niente, poiché il Signore ci provvede abbondantemente.

Ciò premesso ti descrivo in succinto l’orario della notte e del giorno.

La sera pertanto, quando prima, quando dopo, secondo la stagione, si va al riposo, e dopo 5 ore ci leviamo per cantare in coro il mattutino, il canto del quale ordinariamente dura un’ora circa, e a questo segue una mezz’ora di orazione mentale; si torna poi di nuovo a riposo, il quale dura l’inverno tre ore, due e mezza l’estate; ci leviamo la mattina, andiamo a dire le ore canoniche di prima e terza e si ascoltano due messe; si torna in camera, si dà sesto alla medesima, e si va a prendere qualche cosa; si torna in camera ed ognuno impiega un due ore e mezza e più nel rispettivo impiego, o di studiare, o di comporre, o di confessare od altro, secondo i propri uffici.

Si passa quindi a fare un quarto di lezione spirituale, terminata la quale si va per mezz’ora a passeggio; si torna in coro a dire le altre due ore di sesta e nona, poi si va a pranzo (e qui mi sia lecito aggiungerti, che noi abbiamo oltre la quaresima e l’avvento di digiuno, tre giorni della settimana, cioè mercoledì, giovedì, sabato, ma non già digiuno da cappuccino, ma bensì son permessi i latticini; ed il pranzo, eccettuato il venerdì, consiste sempre in una minestra e due altre cose, e quasi sempre la frutta oltre il formaggio; soltanto nelle sere di digiuno vi è un solo piatto. Dal che puoi argomentare che, benché si viva di pure elemosine, grazie alla divina Provvidenza non ci manca niente).

Terminato il pranzo vi è quasi un’ora di ricreazione, poi si passa ad un’altra ora di riposo; levatisi, si dice vespero e si fa circa un quarto di lezione spirituale comune, si passa poi, come la mattina, per un altre due ore a fare il proprio impiego, terminato il quale vi è un’altra mezz’ora di passeggio (nei giorni però di giovedì, domenica e molte altre feste vi è tutto passeggio terminato il vespero). Tornati si dice compieta, un’ora di orazione, si va a cena; nell’inverno seguono tre quarti, nell’estate un’ora di ricreazione; si dice il rosario e così si termina con gioia, prestezza, e alacrità la giornata; ed oh, che dolce riposare col pensiero di aver servito nel corso della giornata il Signore, benché indegnamente! che sonni dolci e tranquilli, non disturbati da timori, premure, ansietà, e neppure dalla stessa morte, non potendoci questa se non levarci da questa valle di miserie, sperandosi di essere in grazia del Signore.

Termino con dirti che anch’io ho provati quei divertimenti, passatempi che può dare il mondo ingannatore. Ti so dire che una sola aspirazione verso Gesù o Maria da loro benedetta dà più consolazione che non tanti inganni e miserie del mondo.

Ricordati di quell’immagine miracolosa che tante volte ci ha ricordato papà, che, se ben mi ricordo, è detta della Pietà; portati ad Essa, consigliati con Lei, e dille che papà ricorse a Lei e non è rimasto confuso, e neppur te rimarrai tale […]. [potrebbe mancare circa metà della lettera perché mancante del secondo foglio]