Traduzione di Luca Fusari – Iperborea – pp. 528, euro 22,00
Quando gli esseri umani sono comparsi sulla terra il fuoco era già lì. Sarà lì anche quando se ne andranno; sarà lì anche quando nessuno ricorderà che aspetto avessero gli esseri umani. La capacità di controllare questo elemento ha segnato un cambiamento cruciale nell’evoluzione della specie; lasciandosi guidare nell’Età del fuoco si ha la sensazione di trovarsi davanti a un nuovo momento di passaggio.
Maggio 2016, Fort McMurray, Canada: un incendio boschivo divampa in una zona ricca di sabbie bituminose (e quindi petrolio) fino a coprire quasi 600 mila ettari. Il bilancio, un anno dopo, dice 88 mila sfollati, 3200 edifici distrutti, 7 miliardi di euro persi, danni ambientali incalcolabili. Seguendo il filo della cronaca d’inchiesta, grazie alle testimonianze delle persone che hanno resistito e combattuto il “Bestione”, John Vaillant racconta un frammento di mondo in cui l’incendiario e l’incendiato convivono sulla stessa zolla, in cui la macchina per l’estrazione continua incessante il suo lavoro nonostante le fiamme. Il tono narrativo non nasconde mai i fatti: la ricostruzione è scientifica e salda sui dati; del resto quale minaccia è più spaventosa di quella che sta per verificarsi?
Tuttavia, se nel complesso è la denuncia a trainare il reportage, non manca uno spazio per la speranza. L’arma più potente contro il cambiamento climatico è anche la più pericolosa: il tempo. La speranza è che il genere umano si decida a superare il Petrocene (l’età del petrolio) prima che sia troppo tardi: prima che le montagne di fumo coprano perfino quelle di soldi.