IN ITALIA I LAVORATORI DEL SETTORE PUBBLICO SI AMMALANO DI PIÙ. È UNA TENDENZA STORICA, CHE TROVA UNA ULTERIORE CONFERMA ANCHE DALLA LETTURA DELLE STATISTICHE RELATIVE ALLE ASSENZE PER MALATTIA DEGLI ULTIMI SETTE ANNI. LA REGIONE CON I LAVORATORI LA CUI SALUTE È PIÙ CAGIONEVOLE È LA CALABRIA, SEGUITA DALLA BASILICATA E DALLA VALLE D’AOSTA
Nella mai sopita disputa tra i fautori del posto pubblico e quelli del privato, si inserisce un elemento che potrebbe prestarsi alle più svariate interpretazioni: i dipendenti pubblici sono più cagionevoli di salute rispetto ai loro colleghi che lavorano nelle imprese private. Davanti alla cruda realtà delle cifre c’è poco da cincischiare, tutt’al più si può adombrare qualche pretestuosa sindrome di “festa mascherata da bacilli”, considerato che quegli stessi lavoratori restano meno tempo in malattia perché guariscono prima. Detto così, potrebbe finire tutto in caciara ricordando il collega/la collega la cui salute diventa cagionevole spesso ai confini del week end, per cui è costretto/a a non poter lavorare il venerdì o il lunedì o – in casi estremi – anche in quei due giorni messi insieme. Ma, si sa, la salute va e viene e non possiamo farci nulla. Comunque, al di là delle semplici e spontanee battute, la cosa è abbastanza seria, tanto che a studiare il fenomeno si è cimentata la Cgia di Mestre; l’ufficio studi dell’associazione artigiani e piccole imprese ha condotto un’analisi dettagliata basandosi su dati dell’Inps: in Italia i lavoratori del settore pubblico si ammalano di più. È una tendenza storica, che trova una ulteriore conferma anche dalla lettura delle statistiche relative alle assenze per malattia degli ultimi sette anni. In questo periodo, infatti, l’incidenza percentuale degli assenti per ragioni di salute sul totale dei lavoratori del comparto è quasi sempre stata superiore tra i cosiddetti “statali” (o altri enti pubblici) che tra i dipendenti del privato. Solo in due occasioni, nel terzo trimestre del 2021 e del 2022, la situazione si è capovolta. In linea di massima, per entrambi i settori il picco minimo di assenze per malattia si verifica stabilmente durante i mesi estivi (luglio-settembre), mentre la soglia massima viene quasi sempre raggiunta in pieno inverno (gennaio-marzo).
Nel 2024 l’incidenza delle assenze per malattia nel pubblico è stata molto più alta che nel privato. Anche nei primi due trimestri del 2024 il differenziale tra i due settori è stato molto significativo. Se tra gennaio e marzo di quest’anno il 33 per cento dei dipendenti pubblici è rimasto a casa almeno un giorno per malattia, tra i privati la quota è stata del 22 per cento; nel secondo trimestre, invece, per i primi la soglia delle assenze è scesa al 26 per cento e per i secondi al 18 per cento. Nel pubblico i licenziati per assenteismo sono pochissimi. In linea di massima, si può affermare con buona approssimazione che i lavoratori del pubblico impiego si ammalano più dei privati; ma i giorni medi di assenza dei primi sono leggermente inferiori ai secondi. Insomma, quando si lavora per lo Stato ci si ammala più frequentemente, anche se si registrano tempi di guarigione più veloci, in particolare nelle regioni del Sud. Ora, supporre che dietro una breve malattia si nasconda un comportamento assenteista è molto suggestivo, ma difficilmente dimostrabile.
Tuttavia, dopo la crisi pandemica del 2020/2021 il numero dei licenziamenti nel pubblico impiego per assenze ingiustificate è tornato ad aumentare. Sebbene l’incidenza di coloro che vengono lasciati a casa per “infedeltà” sul totale dei lavoratori del pubblico impiego sia pari a un misero 0,01 per cento, nel 2018 sono state licenziate 196 persone per assenze ingiustificate o falsa attestazione della presenza in servizio. Nel 2019 il numero è salito a 221, mentre nel 2020 e nel 2021 – anni caratterizzati dal Covid e da un largo impiego dello smart working – lo stesso è sceso rispettivamente a 188 e a 161. Infine, nel 2022 i licenziamenti sono tornati a crescere e hanno raggiunto quota 310 (+58,1 per cento rispetto al 2018).
Dall’analisi del numero di giorni di malattia, in Italia il dato medio è stato pari a 8,5; se nel settore pubblico si è attestato a 8,3, nel privato è stato leggermente superiore e pari a 8,6. In tutti i casi, comunque, rispetto al 2017 la situazione è in netto miglioramento: il dato medio nazionale, ad esempio, è sceso del 16 per cento. Le differenze a livello regionale sono comunque molto marcate. La media dell’8,5 è superata da 13 regioni su 20. La regione con i lavoratori la cui salute è più cagionevole è la Calabria: chi si è ammalato è rimasto a casa mediamente 15,3 giorni (9,6 giorni l’assenza dei dipendenti pubblici e ben 18,8 degli occupati nel privato). Praticamente il doppio di quanto registrato in Emilia Romagna e in Veneto: entrambe hanno “cumulato” 7,8 giornate medie di malattia. Dopo la Calabria, i lavoratori più “malaticci” sono quelli della Basilicata con 10,2 giornate medie di assenza. Seguono gli occupati della Valle d’Aosta (9,7), della Sardegna (9,6), del Molise (9,4). Rispetto al 2017, in tutte le regioni il numero delle giornate medie di assenza per malattia è in calo, con punte del -20 per cento proprio nel Mezzogiorno (addirittura -23 per cento in Calabria).
Fin qui i dati, sui quali possono essere fatte alcune considerazioni. Prima, però, giova ricordare che i giorni di malattia non sono pagati in pieno come gli altri. Quindi, qualcosa lo si perde. L’aspetto che dovrebbe far pensare riguarda la lunghezza delle assenze: avere più malattie, ma più brevi, è il risultato delle cosiddette “malattie giornaliere” per non andare a lavorare quando non se ne ha voglia. Nel privato le malattie sono più lunghe perché in genere – ovvio ci sono anche qui i furbetti – sono malattie ritenute “vere” e non inventate (anche per le diverse salvaguardie, maggiori per i dipendenti pubblici che non per i privati). Ammalarsi e potersi curare è un diritto; è chiaro che il dipendente “privato” ha maggiori remore ad assentarsi di meno (per esempio per un forte raffreddore o mal di testa o un colpo di sciatica); perciò, non è che si ammali di meno, ma si cura di meno e quando si assenta per malattia lo fa perché proprio non può esimersi. Illuminanti due commenti, apparsi in Rete, sullo studio della Cgia: “È noto che i dipendenti pubblici sono mediamente più propensi ad ammalarsi rispetto quelli del settore privato: i primi hanno garantito lo stipendio fino alla pensione con poco stress, mentre i secondi vivono nel timore che se perdono il lavoro (ed è possibile a prescindere dal merito) dopo i 50 sono guai”; “Magari semplicemente nel pubblico se ti ammali non subisci i ricatti che invece sono frequenti nel privato. Ho lavorato nel privato e poi nel pubblico, quindi so di cosa parlo!”. Sarebbe interessante che qualche istituto si prendesse la briga di calcolare le differenze di aspettativa di vita fra quelli che lavorano nel privato e quelli che hanno impieghi pubblici.