Questo titolo non convenzionale potrebbe ricordare l’affermazione, attribuita ad Archimede “Datemi una leva e solleverò il mondo”. Mentre il matematico di Siracusa sapeva benissimo che nella realtà non esiste un asse abbastanza rigido da dare compimento all’idealità matematica della sua affermazione (e forse nemmeno un punto su cui appoggiare il fulcro visto che la Terra è in continuo movimento nello spaziovuoto!), il 13 ottobre scorso la compagnia privata SpaceX, con due assi di metallo abbastanza robusti e mobili, è riuscita per davvero a fermare in verticale un razzo alto 70 metri di rientro nell’atmosfera in caduta libera, o quasi, da diversi km di altezza. Si tratta del primo stadio dell’astronave Starship (in particolare del prototipo SuperHeavy B12) che secondo le parole del magnate Elon Musk ci riporterà prima sulla Luna e poi su Marte.
La sequenza filmica è impressionante, anche se non si tratta di un film renderizzato al computer, e nemmeno di un reverse del razzo stesso: cercate su internet il video “SpaceX Starship IFT-5 Booster Catch Landing” e vedrete che il dubbio vi viene! Dal cielo si vede scendere, avvolto da fiamme di fuoco che ne rallentano progressivamente la corsa (retrorazzi), questo grosso cilindro d’acciaio vivo (72metri di altezza per 100 tonnellate di peso), che delicatamente si appoggia su due bacchette (lunghe in verità diverse metri) come fossero due braccia, che lo raccolgono evitandogli di toccare terra, pronto per ripartire dalla torre senza troppa manutenzione (quello che fa lievitare i costi dei razzi attuali, che in pratica sono usa e getta). Il booster di SpaceX invece è riusabile.
Futuro? sicuramente! Non c’è nessun’altra compagnia che abbia dimostrato di poter fare tanto. Il problema? Rendere questa tecnologia industriale, cioè moltiplicabile all’interno di una catena di montaggio, di modo che diventa prassi vedere un razzo così grande salire e poi riscendere al posto di partenza, pronto in brevissimo tempo a portare un altro carico in orbita, contro i mesi attuali convenzionali per preparare il payload di un razzo e portarlo alla rampa di lancio. Fantascienza? Non tanto. La versione più piccola, diremmo il fratello minore, il Falcon 9, capace di portare solo una decina di tonnellate, ha compiuto la stessa impresa già circa 400 volte in quasi 15 anni di servizio.
Che dire? Dove stiamo andando? Sicuramente verso un’era in cui la nostra specie potrebbe diventare multiplanetaria. La sfida è ovvia, colonizzare Marte. E mentre la tecnologia avanza, dandoci tutti i tasselli necessari per compiere la traversata dei 55 milioni di chilometri, che ci separano dal mondo rosso, almeno nel momento di minima distanza, il tassello più debole in una eventuale missione rimane l’uomo! Infatti, per lui che è di carne, tutto diventa impegnativo: lasciare il proprio pianeta, la gravità terrestre, affrontare la microgravità dello spazio interplanetario, affrontare le radiazioni solare e cosmiche, il dover stare confinato in un piccolo spazio abitativo per diversi mesi, e poi lavorare con la bassa gravità di Marte, affrontare un periodo complessivo di circa 2 anni di missione… tutte queste cose fanno pensare che dobbiamo sviluppare non solo l’astronave per andare e tornare, ma anche il miglior confort possibile all’interno dell’abitacolo e pensare a procedure mediche psichiche e psicologiche perché un uomo arrivi, atteri, e ritorni dal mondo rosso. Impresa impossibile? Chissà?
Jules Vernes scriveva di un grandissimo cannone che avrebbe sparato un proiettile così grande da poter contenere qualcuno per arrivare sulla Luna! Avete capito? Non possiamo sollevare un mondo ma abbiamo il razzo per andarci…!