A chi osserva con attenzione la stagione storica attuale, appare evidente l’esistenza di due forze contrapposte che si contendono la scena sociale. Potremmo chiamarle semplicemente, alla maniera freudiana, Volontà costruttiva e Volontà distruttiva. Si tratta ovviamente di una semplificazione, in quanto, nella realizzazione quotidiana, le due forze convivono in ciascuno di noi.
Chiediamoci. Dove la troviamo oggi la volontà costruttiva? Certamente, nella moltitudine di persone, ordinarie e nascoste, che continuano a credere sostanzialmente in questa realtà umana e sociale, nonostante tutti i suoi difetti, adoperandosi per una società vivibile ed umana. Tali persone sono consapevoli che non esiste idea, per quanto positiva, qual è quella di società ben organizzata, che non sia soggetta al pedaggio negativo delle deviazioni morali, del tornaconto, dei limiti umani. Esiste, invece, una cosa ancora più esaltante. Che ci sia gente – ed è la maggior parte – che ce la mette tutta, giorno dopo giorno, per compiere il proprio dovere al meglio, nella famiglia, nel posto di lavoro, nel contesto sociale in cui vive, comportandosi con responsabilità e con lealtà verso le norme e le cose comuni, con fiducia e rispetto nei riguardi di chi si rapporta a noi. Penso alla cassiera del supermercato che guarda con simpatia chi le sfila dinanzi. Al signore che, perso in quella stessa fila, aiuta un’anziana a sollevare la merce dal carrello. Così, come penso ai genitori che circondano di affetto il figlio, sdrammatizzando scherzosamente il momento critico del risveglio mattutino. Al medico che ridimensiona, con parole di serenità, i timori del paziente. All’insegnante che entra in aula sorridendo e carico di motivazione, consapevole dei contenuti e dei metodi da usare nella lezione che sta per tenere. A tutta la gente che si fa carico, con piccoli gesti, dei problemi altrui.
E dove la troviamo, oggi, la volontà distruttiva? In chi ha smesso di credere nella bontà sostanziale del mondo e dell’organizzazione sociale, vedendo difetti e complotti dappertutto. In chi ha rinunciato a guardare gli altri in modo benevolo, aggirandosi per le vie con la maschera del sospetto sulla faccia. In chi lavora senza passione, evitando di guardare il cliente al di là del vetro, o i malati della corsia, o gli alunni dietro i banchi … In chi scarica la violenza che si porta dentro sui più deboli e sui soggetti emblematici del sistema: forze dell’ordine, sanitari, insegnanti…
Nei riguardi della tenuta sociale, ci sono domande basilari che tutti dovremmo affrontare. Cosa sono per noi l’uomo e la società? Le due realtà, infatti, sono interconnesse. Se per noi la natura umana è sostanzialmente buona, allora anche la società sarà un progetto salutare, la manifestazione del naturale bisogno umano di stare insieme allo scopo di migliorare le condizioni di vita. In questo caso, il consorzio sociale sarà concepito come una struttura benefica, essenzialmente cooperante, capace di armonizzare le opposte posizioni, ripristinando gradualmente gli equilibri attraverso un dialogo valorizzante della posizione altrui. Se invece, per noi, l’uomo è un essere perverso, portato, per natura, all’egoismo, all’astuzia, alla violenza, all’appropriazione indebita, all’elusione delle norme, allora, lo stato e la vita sociale diventano, non un bene, ma un male necessario per arginare la prevaricazione, un meccanismo difensivo. Allora, le tensioni e la violenza di piazza, anziché essere viste come qualcosa di spiacevole, assumeranno carattere strutturale, positivo.
Personalmente, sono convinto che la critica, per essere socialmente feconda, debba partire dal presupposto della complessità della storia. E presentarsi sempre come relativa e particolare, mai radicale ed assoluta. La realtà infatti non è né bianca né nera, ma sempre grigia, ambivalente. La storia, direbbe Benedetto Croce, non giudica ma giustifica. Ci mostra la poliedricità delle cose. Per cui, oggi, una critica illuminata tenderà a rileggere gli errori del passato come una condizione per raggiungere una consapevolezza sempre maggiore. Un’opportunità di crescita, anziché un pretesto per scatenare violenza e disfattismo. Oggi, tutti abbiamo bisogno di comprendere che l’atteggiamento positivo, pragmatico, antideologico, – fatti salvi i valori basilari di una civiltà – è la condizione ottimale per una società umanizzante. E che l’ottimismo è un impegno. Un dovere.