miracoli

PAOLO IN CATENE PER IL VANGELO

RAGGIUNTA GERUSALEMME, PAOLO VIVE LA DRAMMATICA ESPERIENZA DI ESSERE INGIUSTAMENTE ACCUSATO DI AVER INTRODOTTO DEI GRECI NEL RECINTO DEL TEMPIO E VIENE IMPRIGIONATO

Con la grazia dello Spirito

La narrazione di At 21-26 offre una serie di notizie sugli spostamenti di Paolo che da Mileto (20,38) fa vela verso Rodi, oltrepassa Patara, giunge a Cipro e navigando verso la Siria approda a Tiro (21,1-3). Qui l’apostolo viene invitato a non recarsi a Gerusalemme per evitare problemi, ma egli è fermamente deciso di recarsi nella città santa. Dopo aver fatto sosta a Tolemaide, Paolo approda a Cesarea e presso Filippo riceve da Agabo la premonizione della prigionia (21,10-12). Raggiunta Gerusalemme, Paolo vive la drammatica esperienza di essere ingiustamente accusato di aver introdotto dei greci nel recinto del tempio e viene imprigionato (21,30-37). In At 22,1-26 si riporta il discorso di Paolo alla folla, mentre i capitoli successivi descrivono le peripezie legate alla sua prigionia a Gerusalemme (23,1-31) e successivamente a Cesarea Marittima (23,32-35). La fortezza di Paolo è sostenuta dalla grazia divina donata mediante lo Spirito Santo perché porti a compimento la missione che gli è stata affidata (22,15).

Non vergognarti delle mie catene

L’esperienza dell’apostolo a imitazione di Cristo è quella della prigione. In At 25-26 si descrive la permanenza paolina nella fortezza militare di Cesarea. Paolo si difende contro le accuse dei Giudei al cospetto del governatore Festo e, considerando la sua situazione, si appella al giudizio dell’imperatore (25,10-11). Così il governatore decide di trattenere il prigioniero in attesa di poterlo inviare a Roma perché il caso sia trattato direttamente da tribunale imperiale. Intanto arrivano a Cesarea il re Agrippa e Berenice e vengono a conoscenza del caso di Paolo. Riassumendo la posizione del pregiudicato e volendo giustificare il suo comportamento, Festo riconosce la sua innocenza asserendo: “Quelli che lo incolpavano gli si misero attorno, ma non portarono alcuna accusa di quei crimini che io immaginavo; avevano con lui alcune questioni relative alla loro religione e a un certo Gesù, morto, che Paolo sosteneva essere vivo” (25,18-19). È proprio questo particolare che fa la differenza: la fede pasquale illumina l’esistenza di Paolo e di tutti i cristiani. Non è possibile tacere l’incontro vitale che ha trasformato il cuore dell’apostolo. La sua testimonianza risplende attraverso le catene che egli porta con onore per il suo Signore.

Mi è stata usata misericordia

Interessati al caso, il re Agrippa e Berenice esprimono il desiderio di ascoltare Paolo (25,22). Così è data la possibilità all’apostolo di testimoniare il suo incontro con Cristo. Con fierezza Paolo riassume la sua storia (26,2-23), reinterpretandola alla luce dell’evento di Damasco. Si tratta dell’ultimo importante discorso pronunciato al cospetto di un re con la sua regina. Paolo parla anzitutto delle sue origini giudaiche, della sua formazione nella tradizione antica (25,3-4). Intransigente esponente della corrente farisaica, egli sostiene di essere chiamato in giudizio “a motivo della speranza nella promessa fatta da Dio ai nostri padri, e che le nostre dodici tribù sperano di vedere compiuta, servendo Dio notte e giorno con perseveranza” (vv. 6-7). Insistendo sulla sua iniziale opposizione al movimento cristiano, Paolo intende mostrare la potenza trasformate di Dio che ha scelto un “nemico” del vangelo, chiamandolo a una missione salvifica universale. L’auto-testimonianza riportata nella Prima lettera a Timoteo illumina il nostro racconto. Paolo asserisce: “A me, che prima ero un bestemmiatore, un persecutore e un violento… mi è stata usata misericordia, perché agivo per ignoranza, lontano dalla fede” (1Tm 1,13).

Testimone davanti ai re e ai governatori

La ripetizione del racconto di Damasco si differenzia dalle due precedenti versioni (At 9,1-9; 22,3-11) perché sottolinea gli aspetti miracolistici dell’evento e aggiunge alcuni particolari: la luce splendente come il sole, la caduta di Paolo e dei suoi compagni, la voce in lingua ebraica: “Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? È duro per te rivoltarti contro il pungolo” (v. 14). Inoltre l’apostolo rivela di essere stato costituito “ministro e testimone” delle cose che ha visto da Cristo e di quelle per cui gli apparirà. Incontro mistico e dinamismo missionario si declinano intimamente in questa ultima difesa, da cui traspare la serenità e la libertà di cuore dell’apostolo. Egli deve obbedire a Dio e al suo progetto salvifico su di lui senza temere le persecuzioni (v. 19). L’obbedienza nasce dall’ascolto della Parola e dal rimanere saldi nella fedeltà al suo progetto. Colpisce la coerenza della testimonianza paolina collegata a quella di Cristo, che appassiona i suoi interlocutori. Il re e Berenice rimangono talmente colpiti dalla sua solarità, da lasciarsi persuadere dal suo discorso (26,32).

Il Vangelo predicato con parresia

Mentre l’apostolo sta concludendo la sua testimonianza, il governatore Festo irrompe nella scena. La sua reazione è sprezzante. Egli si rivolge all’apostolo con parole dure: “Sei pazzo, Paolo; la troppa scienza ti ha dato al cervello!” (v. 25). La sua reazione rappresenta un estremo tentativo di delegittimare l’annuncio del Vangelo. Sembrano strane non solo le parole dell’apostolo ma anche il modo con cui vengono riferite. Festo non riesce a entrare nella logica del Vangelo della salvezza. Egli si mostra incapace di accogliere la novità della vita in Gesù Cristo, il crocifisso risorto. La scena sempre confermare quanto Paolo scrive ai Corinzi: “Mentre i Giudei chiedono segni e i Greci cercano sapienza, noi invece annunciamo Cristo crocifisso: scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio. Infatti ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini” (1Cor 1,22-25). La risposta immediata dell’apostolo è ispirata a un saggio equilibrio (26,23-29) e alla franchezza (= parresia). La testimonianza dell’apostolo si traduce in un invito ad aprirsi a Dio con una risposta di fede. È questa la “follia cristiana” che dischiude i confini della missione, permettendo ai missionari di evangelizzare le genti e di raggiungere gli estremi confini della terra.